Vita quotidiana nel Rinascimento: i migliori amici dell'uomo

[Usi & costumi // Customs & life]

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    Articolo sugli animali domestici nel Rinascimento. // An article about pets during the Renaissance.

    CITAZIONE
    Francesco I di Francia e il duca di Milano volevano animali da caccia, mentre Filippo I di Spagna richiedeva esemplari da combattimento. Anche i cani da compagnia erano sempre più apprezzati. Ci furono alcune resistenze a questo improvviso monopolio britannico del mercato dei cani.
    L’aristocrazia francese non poteva tollerare che le proprie splendide battute di caccia dipendessero totalmente da fornitori inglesi. Nacquero così i blancs du roy (bianchi del re), soggetti di una superba razza che rimase famosa fino alla Rivoluzione. Ciò nonostante la Francia continuò a rifornirsi di esemplari britannici e in particolare scozzesi. I blancs du roy erano però considerati impareggiabili dai loro padroni ed erano pertanto molto ambiti. A Chambord, che ospitava un’importante riserva di caccia, i sudditi locali furono di nuovo obbligati a tagliare i tendini dei garretti dei propri cani o ad appendere grossi blocchi di legno al collo degli animali per impedire che “volgari” cani si appropriassero della selvaggina riservata agli “aristocratici” blancs. Le nobildonne francesi del tempo preferivano invece i piccoli spaniel e i levrieri italiani. Enrico III nominò custodi e stanzi l’enorme somma di centomila scudi d’oro per assicurare una vita lussuosa alla sua muta di piccoli cani.
    Inghilterra e Francia, così, furono determinanti in Europa per lo sviluppo delle razze canine durante il Rinascimento. Ma fu riservato agli Italiani, in particolare agli artisti delle due città rivali di Firenze e Venezia, il compito di immortalare questi animali lasciando così ai posteri una traccia indelebile della loro presenza in quell’epoca.

    Leggi qui per l'articolo completo.

    Edited by Julia_Katina - 27/9/2013, 12:00
     
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  2. Julia_Katina
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    Articolo sugli antichi nomi dati ai migliori compagni dell'uomo. Traduzione in italiano a cura dello staff. // An articles about pets' names during the Middle Ages and Renaissance.

    CITAZIONE

    People in the Middle Ages did keep pets – dogs, cats, birds, monkeys and many other kinds of animals. Although they often had particular duties – i.e. hunting or catching rats – there are many accounts that showed affection and love between these pets and their owners.

    Scattered in various texts and remains from the Middle Ages, one can find that people gave names to their pets.


    Medieval Dog Names

    In England we find dogs that were named Sturdy, Whitefoot, Hardy, Jakke, Bo and Terri. Anne Boleyn, one of the wives of King Henry VIII, had a dog named Purkoy, who got its name from the French ‘pourquoi’ because it was very inquisitive.

    Geoffrey Chaucer’s The Nun’s Priest Tale has a line where they name three dogs: Colle, Talbot and Gerland. Meanwhile, in the early fifteenth-century, Edward, Duke of York, wrote The Master of Game, which explains how dogs are to be used in hunting and taken care of. He also included a list of 1100 names that he thought would be appropriate for hunting dogs. They include Troy, Nosewise, Amiable, Nameles, Clenche, Bragge, Ringwood and Holdfast.

    Meanwhile, in Switzerland a list of 80 dogs that took part in a shooting festival in the year 1504 has been preserved. They reveal the most popular name was Furst (Prince). Other names included Venus, Fortuna, and Turgk. Some dogs got their names from the work being done by their owners: Hemmerli (Little Hammer) belonged to a locksmith, while Speichli (Little Spoke) belonged to a wagoner.

    The 14th century French knight Jehan de Seure had a hound named Parceval, while his wife had Dyamant. Leon Battista Alberti, the Renaissance philosopher, said his dog was sired by Megastomo (Big Mouth). Ludovico III Gonzaga, ruler of the city of Mantua from 1444 to 1478, has at least two dogs – Rubino and Bellina. When Rubino died, Ludovico ordered that he buried in a casket and that he would make sure that the animal would also get a tombstone. Isabella d’Este, a famous Italian lady and also a ruler of Mantua, was known to have many little dogs, two of which were named Aura and Mamia.


    Medieval Cat Names

    In medieval England domestic cats were known as Gyb – the short form of of Gilbert – and that name was also popular for individual pet cats. Meanwhile in France they were called Tibers or Tibert was generic name fo domestic cat in France – Tibert the Cat was one of the characters in the Reynard the Fox animal fables.

    Other names for cats included Mite, who prowled around Beaulieu Abbey in the 13th century, and Belaud, a grey cat belonging to Joachim du Bellay in the 16th century. Isabella d’Este also owned a cat named Martino. Old Irish legal texts refer to several individual cats and names them: Meone (little meow); Cruibne (little paws); Breone (little flame, perhaps an orange cat), and Glas nenta (nettle grey). An Irish poem from the ninth century describes how a monk owned a cat named Pangur Bán, which meant ‘fuller white’. The poem begins:

    I and Pangur Bán, my cat
    ‘Tis a like task we are at;
    Hunting mice is his delight
    Hunting words I sit all night.

    [x]


    BL4zgm7s




    CITAZIONE
    Nel Medioevo la gente possedeva diversi animali domestici - cani, gatti, uccelli, scimmie e molti altri genere di bestie. Anche se spesso dovevano assolvere a doveri particolari - per esempio cacciare o la cattura dei ratti - numerose fonti testimoniano l'affetto e l'amore tra questi animali ed i loro proprietari. Attraverso molti testi antichi, è possibile vedere come queste persone abbiano dato dei nomi ai loro animali domestici.



    Nomi per cani:

    In Inghilterra troviamo cani chiamati Sturdy, Whitefoot, Hardy, Jakke, Bo e Terri. Anna Bolena, una delle mogli di Enrico VIII, aveva un cane di nome Purkoy, dal francese 'pourquoi' perché era un animale molto curioso.

    The Nun’s Priest Tale di Geoffrey Chaucer cita ben tre nomi di cani: Colle, Talbot e Gerland. Nel frattempo, nei primi anni del XV secolo, Edward, duca di York, ha scritto The Master of Game in cui viene spiegato come i questi animali debbano essere utilizzati nella caccia e le cure loro riserbate. L'autore ha anche incluso una lista di 1100 nomi che pensava sarebbero stati una buona scelta per i cani da caccia. Essi comprendono Troy, Nosewise, Amiable, Nameles, Clenche, Bragge, Ringwood e Holdfast.

    In Svizzera è stato conservato un elenco di 80 cani che hanno partecipato a un festival per l'anno 1504. si scopre che il nome più popolare era Furst (Prince). Altri nomi inclusi Venus, Fortuna, Turgk. Alcuni cani hanno ereditato i loro nomi dal tipo di lavoro svolto dai rispettivi proprietari: Hemmerli (Little Hammer) apparteneva a un fabbro, mentre Speichli (Little Spoke) apparteneva a un carrettiere.

    Il cavaliere francese Jehan de Seure, del 1300, aveva un cane di nome Parceval, mentre la moglie ne possedeva uno di nome Dyamant. Leon Battista Alberti, il filosofo ed artista del Rinascimento, ha detto che il suo cane era discendente di Megastomo (Big Mouth). Ludovico III Gonzaga, governatore della città di Mantova dal 1444 al 1478, aveva almeno due cani - Rubino e Bellina. Quando morì Rubino, Ludovico ordinò che fosse sepolto in una bara e si preoccupò avesse anche una pietra tombale. Isabella d'Este, famosa nobildonna italiana e signora di Mantova, è nota per aver avuto molti cani di piccola taglia, due dei quali si chiamavano Aura e Mamia.

    Vi è anche la storia di Guinefort, il cane santo protagonista di una leggenda del XIII secolo..



    Nomi per gatti:

    In Inghilterra i gatti domestici, durante il Medioevo, erano conosciuti come GYB - la forma abbreviata di di Gilbert - e questo nome era popolare anche per i singoli gatti. In Francia erano chiamati Tibers o Tibert, ovvero i nomi generici dell'animale gatto - Tiber il Gatto era uno dei personaggi della nota favola Reynard the Fox.

    Altri gatti erano Mite, che si aggirava intorno all'Abbazia di Beaulieu nel XIII secolo, e Belaud, un esemplare grigio appartenuto a Joachim du Bellay nel 1500. Isabella d'Este possedeva anche un gatto di nome Martino. Antichi testi giuridici irlandesi ci riferiscono diversi nomi di gatti: Meone (piccolo miagolio); Cruibne (zampette); Breone (piccola fiamma, forse un gatto arancione), e Glasnenta (ortica grigia).
     
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  3. Julia_Katina
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    Articolo sulla presenza del cane nell'arte rinascimentale, sino alla fine del Quattrocento. Traduzione a cura dello staff. // Article on dogs in Renaissance art 'till the end of the 15th century.


    CITAZIONE
    Dogs are a common visual motif in Western art and have been called the “artist’s best friend” for their role as companion and life model. The close and accurate observation of animals is a hallmark of Renaissance art in general, and as the most domesticated and favored of species, it is inevitable that dogs in particular would be well represented. Sketching from life was part of the Renaissance artist’s normal routine, and when artists began to look at the world around them, there was the dog—a ready and willing source of inspiration.

    Throughout the Renaissance, dogs abound in art, most often appearing as incidental background motifs, part of a hunting scene, religious, mythological, or allegorical composition, or beside their masters in portraits. However, even a brief accounting of their role in the visual arts of the period involves issues that go well beyond the history of art, including court life, aristocratic tastes and fashion, pet ownership, the status of hunting among the royal and noble classes, developments in the classification of dog breeds and types, and changing views of the intelligence and mental abilities of dogs. For example, although working dogs were ubiquitous in the Renaissance—they turned cooking spits, pulled carts, herded sheep, baited wild animals, and competed in sporting events—their menial status mostly precluded their appearing as such in paintings of the period.

    The first great observer of animals in the Renaissance, Pisanello, produced several sensitively observed studies of dogs, evidently drawn from nature, in a sketchbook in Paris. He used these studies for the Greyhounds, hound, and two small Spaniel-like dogs in the foreground of The Vision of Saint Eustace. Half a century later, Albrecht Dürer rendered dogs with the attention of a portraitist, in silverpoint and ink and wash, leaving us several preparatory drawings of individual animals taken directly from life that exemplify the Renaissance artist’s intensifying quest for accuracy and realism. The tense, nervous hunting dogs in the foreground of his largest engraving, The Vision of Saint Eustace, were realized so persuasively that they served as an important source for subsequent artists who reused them for their own compositions.

    Not all depictions of dogs in the Renaissance were lifelike or the result of firsthand observation, however, because many artists viewed animals as merely a vehicle for conveying a bewildering variety of complex and often contradictory symbols. Just as often as dogs were shown in Italian paintings as the companion of the young Tobias, protecting the youth as he wandered far and wide in search of the fish that would cure the blindness of his father, Tobit, they also carried the ancient burden of pariah, or scavenger, dogs, associated in the Old Testament with evil and unclean things, and in the New Testament with Christ’s persecutors. The dog was the faithful attribute of Saints Dominic, Margaret of Cortona, and Roch, as well as of the hunters Diana, Adonis and Cephalus, but it was also a symbol of sexuality and promiscuity. Yet church fathers, scholars, poets, and humanists were symbolized and accompanied by dogs. In Dürer’s engraving of Saint Jerome in His Study, the saint works on his letters or translations, while his dog sleeps quietly nearby, a vivid symbol of the contemplative life.

    As early as the second half of the 15th century, dogs began to take on an independent existence in art. Their status as objects of favor and prestige among the European ruling families and their owners’ desire for conspicuous display, particularly among the Italian ducal families in Mantua, Ferrara and Florence, resulted in a demand for portraits of individual dogs. In an undated account sent to Galeazzo Maria Sforza, Duke of Milan, by Zanetto Bugato, one of the items to be paid for was “a portrait of the dog called Bareta.” Francesco Bonsignori is said to have painted for Francesco Gonzaga, 4th Marquis of Mantua, a dog whose likeness was so convincing that one of his own dogs was said to have attacked the painting.

    Although dog portraiture per se did not become a widespread practice until the early 18th century, it is clear that Renaissance patrons did not consider their dogs as frivolous or inconsequential elements of their own portraits. Dogs, even today, are natural adjuncts of portraits, appearing as fashion accessories or indications of a sitter’s tastes and interests. Even in the early Renaissance they appear to have been painted from life—surely the little Griffon terrier in Jan van Eyck’s Giovanni Arnolfini and His Wife is a family pet and stares boldly at the beholder, irrespective of his role as a traditional attribute of marital fidelity.

    A notable example of a vivid and lifelike dog appearing alongside its owner in Italian painting is the pair of elegant Greyhounds accompanying Sigismondo Pandolfo Malatesta Kneeling before Saint Sigismondo in Piero della Francesca’s fresco in the Tempio Malatestiano, Rimini. Although bred principally for hunting, Greyhounds were often kept as court pets in great luxury; this pair was a gift from Pier Francesco di Lorenzo de’ Medici. The white Greyhound, lying with outstretched paws, waiting patiently on its master, is especially well rendered. Although these noble dogs have been widely interpreted as symbolic of some virtue like fidelity, they are equally convincing examples of the high value placed upon hunting dogs in the Renaissance and were probably more greatly appreciated by contemporary observers for Piero’s detailed naturalism. Fifteenth-century letters survive in which Italian princes express interest in obtaining fine hunting dogs or giving them as presents. Such dogs often wore costly collars—the dog collars of the Ferrarese court were made by the court goldsmith—and the 1468 inventory of Sigismondo’s possessions shows that he owned a number of elaborate dog collars studded with silver.

    The affection that Ludovico II Gonzaga, Marquis of Mantua, had for his dog, Rubino, is confirmed not only through his letters and, following the animal’s death, the erection of a tombstone complete with a sentimental Latin epitaph, but also by the inclusion of the creature itself—a russet-coated Bloodhound-like dog—beneath his chair in Andrea Mantegna’s celebrated fresco depicting Ludovico, his family, and court. The adjacent fresco, which depicts two huge Mastiffs and other hunting dogs, further attests to the passion for dogs at the Gonzaga court. Another notable representation of a dog in monumental wall painting in the Renaissance is the feathered Saluki with a studded collar in the foreground of Pinturicchio’s Departure of Aeneas Silvius Piccolomini for Basel. In this fresco, the animal appears almost as conspicuous as the figure of the future Pope Pius II.

    CITAZIONE
    Il cane è un motivo comune nell'arte occidentale ed è stato definito addirittura "il miglior amico di un artista", per il suo ruolo di compagno di vita oltre che ad esser un modello per dipinti e disegni. L'osservazione ravvicinata e precisa degli animali è una caratteristica dell'arte rinascimentale e, essendo il cane l'animale più diffuso fra le specie addomesticate, è quindi inevitabile che esso venisse tanto bene - e di frequente - rappresentato. Ritratti di pezzi di vita quotidiana erano parte della normale routine dell'artista del tempo e, quando gli artisti cominciarono a guardare il mondo intorno a loro, v'era perciò il cane, una fonte immediatamente disponibile d'ispirazione.

    Per tutto il Rinascimento i cani abbondano in arte, il più delle volte come incidentali motivi sullo sfondo, come parte di scene di caccia o religiose, ma si trovavano anche all'interno di composizioni dal carattere mitologiche o allegoriche, o - ancora - accanto ai loro padroni nei ritratti di stampo più realistico. Tuttavia, al di là della storia dell'arte, questi animali erano parte attiva della vera vita di corte perché possederne rientrava nei tipici gusti aristocratici alla moda, e diversificavano per esempio le attività di caccia delle varie classi sociali, portando, come naturale conseguenza, allo sviluppo delle classificazioni delle razze canine, cambiando attitudini e comportamenti dei cani. Ad esempio, anche se i cani da lavoro erano onnipresenti nel Rinascimento - erano usati per portare pesanti carichi, badavano alle greggi, cacciavano gli animali selvatici, gareggiavano in eventi sportivi -, il loro stato servile era per lo più precluso nei dipinti di quel periodo.

    Il primo grande osservatore di animali durante il Rinascimento, Pisanello, ha studiato numerosi cani nei suoi schizzi, con sensibilità d'un osservatore attento, evidentemente attratto dalla natura, in un album da disegno conservato a Parigi. Alcuni di questi studi sono stati adoperati come base per i levrieri, il segugio ed i due piccoli cani - simili a Spaniel - in primo piano ne La visione di Sant'Eustachio. Mezzo secolo più tardi, Albrecht Dürer ha reso alcuni cani con l'autentica attenzione di un ritrattista, grazie ad punta d'argento, a dell'inchiostro e dell'acquerello, lasciandoci numerosi disegni preparatori presi direttamente dalla vita reale che esemplificano bene la ricerca dell'artista rinascimentale verso la precisione ed il realismo. I nervosi cani da caccia in primo piano all'interno della sua più grande incisione, La Visione di Sant'Eustachio, sono state realizzate secondo una maniera che servirà da importante fonte per gli artisti successivi che li hanno riutilizzati per le proprie composizioni.

    Non tutte le raffigurazioni di cani durante il Rinascimento erano però realistiche, o frutto di un'osservazione di prima mano, perché molti artisti continuavano ad adoperare gli animali unicamente come veicolo di una sconcertante varietà di simboli tanto complessi e quanto - spesso - contraddittori. Per esempio, in dipinti italiani, i cani sono stati spesso compagni del giovane - e simboli a lui legati - Tobia, proteggendo nel suo vagare in lungo ed in largo, alla ricerca del pesce che avrebbe curato la cecità del padre Tobi; ma i cani hanno anche svolto l'antico dello o spazzino, spesso in scene tratte dal Vecchio Testamento, con essere maligno ed impuro, e tuttavia nel Nuovo Testamento è associato ai persecutori di Cristo. Il cane è stato attributo fedele dei santificati Rocco e Domenico e di Margherita da Cortona, oltre che dei cacciatori Diana, Adone e Cefalo, ma era anche simbolo di sessualità e promiscuità. Eppure padri della Chiesa, studiosi, poeti ed umanisti sono stati simboleggiati ed accompagnati da cani. Nell'incisione San Gerolamo nel suo studio di Dürer , il santo lavora alle sue lettere o forse sta traducendo, mentre il suo cane dorme tranquillamente nelle vicinanze, un simbolo vivo della vita contemplativa.

    Già nella seconda metà del Quattrocento, i cani cominciarono ad assumere un'esistenza indipendente nell'arte. Il loro status d'oggetti favoriti, di prestigio, tra le famiglie regnanti d'Europa ed il desiderio dei loro proprietari di vederli rappresentati, particolarmente diffuso tra le famiglie italiane a Mantova, Ferrara e Firenze, ha determinato una domanda di ritratti dedicati ai singoli cani. In un conto privo di data, inviata a Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, da Zanetto Bugato, fra le voci da pagare compare "un ritratto del cane chiamato Bareta". Francesco Bonsignori si dice che abbia dipinto per Francesco Gonzaga, quarto marchese di Mantova, un cane la cui somiglianza risultò così convincente che pare che un altro dei suoi cani attaccò la pittura, credendolo una bestia vivente.

    Anche se però ritratte cani, come unici soggetti dei dipinti, non diventa una pratica diffusa prima degli inizi del Settecento, è chiaro come gli stessi mecenati del Rinascimento non considerassero i loro cani elementi frivoli, o irrilevante nei loro ritratti. Ricordiamo, nel primo Rinascimento, il piccolo Griffon Bruxellois di Jan van Eyck nel dipinto Ritratto dei coniugi Arnolfini , animale domestico che, a prescindere dal suo ruolo tradizionale attributo della fedeltà coniugale, guarda l'osservatore con fiero coraggio.

    Un notevole esempio di vivida e realistica raffigurazione di questo animale, accanto alla figura del padrone, nella pittura italiana è la coppia di eleganti levrieri in Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo, un affresco di Piero della Francesca nel Tempio Malatestiano, a Rimini. Anche se allevati principalmente per la caccia, i levrieri sono stati spesso tenuti come animali domestici di grande lusso; questa coppia in particolare fu un regalo di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, detto Lorenzo il Popolano. Il levriero bianco, sdraiato con le zampe tese, aspettando pazientemente il suo padrone, è particolarmente ben reso. Anche se questi nobili cani sono stati ampiamente interpretati quali simboli di qualche virtù, come per esempio la fedeltà, sono esempi perfetti per testimoniare l'altro posto occupato da cani da caccia nel Rinascimento e sono stati molto apprezzati dagli osservatori contemporanei per il naturalismo dettagliato. In certe lettere quattrocentesche sopravvivono le testimonianze di alcuni principi italiani e del loro interesse nell'ottenere cani da caccia multa o la volontà di donarli a mo' di preziosi regali. Questi cani spesso indossavano costosi collari - quelli dei cani della corte ferrarese furono forgiati dall'orafo di corte - e l'inventario dei beni di Sigismondo, risalente al 1468, mostra che egli possedeva una serie di collari per cani molto elaborati e fatti con argento.

    L'affetto che Ludovico II Gonzaga, marchese di Mantova, provava per il suo cane, Rubino, è confermata non solo grazie alle sue lettere e, dopo la morte dell'animale, dall'erezione di una pietra tombale con tanto di epitaffio latino dal tono sentimentale, ma anche con l'inclusione della creatura stessa - simile ad un Bloodhound, col manto color ruggine - nel celebre affresco di Andrea Mantegna raffigurante Ludovico, la sua famiglia, e la corte. L'affresco adiacente, che raffigura due enormi mastini ed altri cani da caccia, attesta la passione general per i cani presso la corte dei Gonzaga. Un'altra rappresentazione notevole in un pittura murale monumentale del Rinascimento è il levriero persiano dal collare tempestato nell'Enea Silvio Piccolomini parte per il concilio di Basilea di Pinturicchio. In questo affresco, l'animale sembra quasi evidente quanto la stessa figura del futuro papa Pio II.
     
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